Ritiro del consenso all'esame

Anonimo

Si pone il seguente quesito al Direttore Generale Az Ospedaliera

Su richiesta di OO.SS. ... si invia la presente a titolo di informativa su una modalità operativa di rilevanza etica, deontologica e penale. Può accadere che nel corso di una procedura endoscopica l'utente, sedato o non, chieda, per dolore, fastidio o altra motivazione l'interruzione dell'esame. Si è a chiedere qual è il comportamento richiesto all'infermiere nel caso in cui il Medico decida di procedere nonostante l'utente/paziente chieda l'interruzione dell'esame.

Medico Legale dell'azienda Ospedaliera

Secondo il comma 3 dell'art.6 del Decreto Leg.vo 502 del 1992, l'infermiere "garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche", il che comporta che egli debba eseguire quanto richiesto dal medico. Tuttavia, la Legge 251 del 10 agosto 2000 ha riconosciuto al professionista sanitario, infermiere incluso, responsabilità ed "autonomia professionale" nell'esercizio di attività dirette alla prevenzione, cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva... in linea con quanto previsto dalla legge 42 del 26 febbraio 1999 che ha abolito il mansionario degli infermieri professionali e del concetto di ausiliarietà professionale.
In questo ambito, occorre tenere conto che sia il codice deontologico dell'infermiere, sia il codice deontologico del medico, riconoscono  liceità ad accertamenti e trattamenti soltanto se vi è il consenso della persona e che questo può essere ritirato in qualsiasi momento. Ciò premesso,  se il paziente, per motivi i più vari, ritiene di non poter proseguire nell'esame, il medico e il personale che lo assiste sono tenuti a sospendere l'attività diagnostico-terapeutica. E' da ritenere che ciò valga anche nel caso che il paziente possa riportare un danno da questa interruzione, oppure anche se manca soltanto un ultimo atto per completare una procedura complessa, che dovrebbe essere ripetuta ab initio. Ovviamente il paziente dovrà essere informato cosa può comportare la sospensione dell'attività.
Se il medico rifiuta di sospendere l'attività, egli esegue attività non consentita, per la prosecuzione della quale non può certo richiedere la collaborazione di altro personale, trattandosi di un illecito accertamento/trattamento che può dare luogo a reati a tipo lesione personale o violenza privata.
Bene fa l'infermiere a rifiutare la propria attività ed egli non può certo essere costretto, nè dal medico nè dalla direzione aziendale, a collaborare ad attività non lecite.

 

Dr. Gianfranco Iadecola

Commissione Medico Legale SIED

A mio giudizio la risposta è la seguente: se è illegittimo intervenire - o continuare ad intervenire - senza il consenso del paziente (essendo il consenso requisito di legittimità dell'attività sanitaria), non può non scaturirne che concorra nella condotta illegittima l'infermiere che consapevolmente assista il medico autore dell'intervento senza consenso, prestandogli collaborazione.
La regola giuridica è che nessuno è giustificato se dà esecuzione a disposizioni che sa (o che deve sapere) essere illegittime, anche se ha una posizione subordinata rispetto a chi dà l'ordine: l'infermiere, quindi, dovrebbe astenersi dal coadiuvare il medico in una attività "contra legem", altrimenti ne assume la corresponsabilità.
Si deve ricordare che, secondo l'attuale giurisprudenza, l'unica ipotesi di rilevanza penale dell'atto medico-chirurgico eseguito in assenza di consenso ricorre quando il medico intervenga sul paziente nonostante il dissenso dello stesso (come accade nella fattispecie che ci viene sottoposta). In tal caso si configura il reato di violenza privata (art. 610 c.p.), nel quale concorrerebbe lo stesso infermiere che presti aiuto e collaborazione al medico.
Vedrei, quindi, un vero e proprio dovere dell'infermiere di astensione dalla collaborazione con il sanitario che volesse imporre al malato un trattamento contro la volontà del medesimo (tra l'altro, senza che neppure ricorra uno stato di necessità).

Dr. Antonio Pisani

Domande da parte di Antonio Pisani, coordinatore della Commissione medico Legale:

“mi permetto di chiedere al Dr.Iadecola chiarimenti rispetto a due questioni secondarie che emergono a mio avviso dalla vicenda:

  • può il paziente sedato con benzodiazepine (che interferiscono in modo variegato sulle percezioni del paz iente stesso, soprattutto nei primi minuti dopo l'infusione endovena) ritirare il suo consenso.
    Ciò ha valore "legale"?
  • può l'infermiere "abbondonare" il medico che non interrompe l'esame endoscopico (nel caso in cui il paz iente sedato chieda improvvisamente di sospendere l'esame) se in quel frangente il medico è intento a fare una manovra a rischio, come può essere una polipectomia?

 

Dr. Gianfranco Iadecola

Commissione Medico Legale SIED

Provo a rispondere sinteticamente alle due domande (che però esigerebbero un ben diverso approfondimento):

  • Il paziente può revocare il consenso espresso essendo nelle medesime condizioni di capacità di intendere e di volere di quando lo ha manifestato.
    Una revoca del consenso proveniente da un paziente anche transitoriamente non pienamente "compos sui" non potrebbe ritenersi quindi valida. L'espressione “compos sui” indica il possesso da parte del soggetto delle piene capacità intellettive e volitive, e quindi, per un verso, la lucidità mentale, la capacità di comprensione, di conoscenza e di valutazione del significato e degli effetti della propria condotta, nonché, per l'altro verso, la capacità di autodeterminarsi in modo coerente con le rappresentazioni apprese.
  • A mio giudizio, per essere nella "legalità", l'infermiere (a fronte di un ritiro "valido" del precedente consenso da parte del paziente non sedato e sempre che sia possibile tecnicamente -e senza danno al malato- interrompere l'atto medico "in itinere"), pur esprimendo il rifiuto a proseguire nella propria prestazione, deve continuare la collaborazione con il medico quando si tratti di evitare rischi di pregiudizio alla salute del paziente.  Lo stesso deve preoccuparsi di far risultare anche per iscritto, ad esempio nella cartella di competenza, il suo dissenso motivato a proseguire nell'attività di supporto del medico, precisando altresì che la prosecuzione della collaborazione è avvenuta solo per la ricorrente esigenza di evitare danni al malato.